mercoledì 8 luglio 2009

Contro il referendum elettorale- Per il proporzionale Report, riunione 2 luglio 2009



Si è riunito il 2 luglio il gruppo che ha coordinato la campagna contro il referendum per la modifica della legge elettorale, composto dai due comitati No al referendum elettorale e Contro il proporzionale, presieduti da Gianni Ferrara e Franco Ragusa. Nella discussione unanime è stata l’espressione di soddisfazione per il mancato quorum del referendum, ciò che evita la chiusura bipartitica del sistema politico e un’ulteriore lesione della democrazia pluralista. Nessuno è, al tempo stesso, soddisfatto dell’attuale legge elettorale che con il premio di maggioranza e la nomina dei parlamentari è tra le peggiori leggi del mondo e della storia del nostro paese, e dunque altrettanto unanimemente si è deciso di tentare una strada comune per una legge elettorale che garantisca il pluralismo politico, il diritto alla rappresentanza delle minoranze, e l’uguaglianza del voto ‘in entrata’ e ‘in uscita’ senza manipolazioni maggioritarie.
Più interventi hanno sottolineato la valenza politico-culturale della battaglia per la democrazia pluralista e il sistema proporzionale, che sono presidi della democrazia costituzionale e strumenti di lotta contro la ‘democrazia maggioritaria’, che si risolve in una ‘democrazia di investitura’ base del moderno cesarismo. La democrazia maggioritaria, investendo un ‘capo’ che si erge a interprete della ‘volontà del popolo’, rompe i confini della sfera del decidibile e dell’indecidibile, cioè dei limiti che la volontà politica, sia pure della maggioranza, deve rispettare a salvaguardia dei diritti universali della persona e delle minoranze.
Per impostare un possibile comune itinerario si è deciso di affrontare a settembre quattro questioni:

1. in Italia da decenni si vive in uno stato di emergenza che richiede una mobilitazione sulla più generale questione della democrazia, pertanto l’orizzonte del lavoro comune non può che essere un comitato per la democrazia (Pino Quartana);
2. essendo stata accettata la prospettiva di lavorare a una proposta di legge di iniziativa popolare sul sistema elettorale (Sergio Cararo), si è deciso di affidare a Pietro Adami il compito di preparare una relazione sul tema;
3. bipartitismo e bipolarismo sembrano essere le due uniche alternative, mentre il fallimento del referendum ha dimostrato che sono superabili per andare verso un sistema garante del pluralismo (Franco Ragusa);
4. sul tema culturale della democrazia costituzionale, dagli immediati risvolti di lotta politica contro la democrazia maggioritaria, Gianni Ferrara preparerà una relazione, base per una campagna di ‘informazione-formazione’.

La prossima riunione - fissata per il 15 settembre, h.17-19.30 – tratterà i primi due punti e si terrà a Roma presso la sala Libertini, Via del Policlinico 131, Roma

giovedì 18 giugno 2009

Facciamo la festa al referendum beffa

Roma, venerdì 19 giugno
dalle ore 18.00 in poi a Piazza Farnese


Il referendum elettorale è fondato sull’inganno e sulla menzogna.
I referendari vogliono cavalcare la grande indignazione che c’è in tutti noi per una legge elettorale che unanimemente viene definita una porcata, perché ha espropriato gli elettori del potere di scegliere i propri rappresentanti, e vogliono farci credere che attraverso il referendum potremo sbarazzarci del “porcellum”.
Niente di più falso.
La legge che uscirebbe da una eventuale vittoria del Si al referendum non eliminerebbe nessuno dei difetti del “porcellum”, ma ne accentuerebbe gli aspetti negativi.
Attribuendo il premio di maggioranza ad un solo partito e raddoppiando le soglie per l’ingresso in Parlamento dei rappresentanti del popolo, essa comprimerebbe fino all’inverosimile il diritto degli elettori di scegliere i propri rappresentanti, consentendo ad una minoranza di impadronirsi di tutti i poteri e di svincolarsi da ogni controllo.
Il referendum non ammazza il “porcellum” ma lo rafforza e lo rende perpetuo. Per mantenere aperta la speranza di cambiamento di questa iniqua legge elettorale occorre far fallire il referendum disertando le urne.

FACCIAMO FALLIRE IL REFERENDUM

COMITATO “NO AL REFERENDUM”

Alla Casa della Solidarietà

mercoledì 10 giugno 2009

Giù le mani dalla democrazia


Continua in questi giorni la battaglia per salvare la Democrazia e la Costituzione dalla truffa dei referendum elettorali del 21 Giugno. Giù le mani dalla democrazia! Ecco il link da dove scaricare alcuni materiali utili http://home.rifondazione.it/xisttest/content/blogcategory/157/270/

martedì 9 giugno 2009

Incontro informativo sui contenuti del referendum elettorale e sulle conseguenze che ne deriverebbero




LOGO di Reti di Pace

ROMA
Mercoledì 10 Giugno 2009

Ore 18.00-20.00

c/ Planetarietà
Via Paola Falconieri 84

“Un referendum beffa”


Quali sono le caratteristiche della legge elettorale vigente? Perchè viene definita “porcellum”? Che cosa è il premio di maggioranza? L'elettore che possibilità di scelta ha attualmente?

Quale legge elettorale avremmo con il referendum abrogativo? Quali le conseguenze per la vita democratica del paese?
Per fare delle scelte consapevoli Reti di Pace vuole approfondire i termini del referendum e i suoi risvolti; a tal fine vi invitiamo a parlarne con
Domenico Gallo e Tana De Zulueta
Domenico Gallo, giurista e magistrato, senatore dal 1994 al 1996. Attualmente è Consigliere presso la Corte di Cassazione. Dal 1982 è attivo nella magistratura associata e aderisce a “magistratura democratica”. Ha curato numerose pubblicazioni su temi attinenti a questioni di carattere internazionale ed in materia di diritti dell’uomo.

Tana De Zulueta, giornalista e già corrispondente in Italia del settimanale The Economist, parlamentare dal 1996 al 2008, tra le varie attività è stata membro della Commissione Antimafia, della Commissione Difesa, Presidente della Commissione Cultura e Immigrazione di EuroMed.

Per maggiori informazioni e documenti: http://comitatonoalreferendumelettorale.blogspot.com


In allegato il materiale elaborato dal “Comitato per il no al referendum elettorale tramite l'astensione”

Ti aspettiamo!

Info: www.retidipace.it info@retidipace.it

giovedì 4 giugno 2009

Un referendum beffa Le ragioni per dire No al referendum elettorale in 10 punti.

1. Siamo tutti scontenti della vigente legge elettorale, unanimemente denominata “porcellum” con la quale si è votato nelle ultime due tornate elettorali (2006 e 2008).
2. Questa legge, attraverso le liste bloccate, ha espropriato gli elettori di ogni residua possibilità di scegliersi i propri rappresentanti in Parlamento, conferendo a una ristrettissima oligarchia di persone (i capi dei partiti politici) il potere di determinare al 100% la composizione delle Assemblee legislative. Di conseguenza tutti i “rappresentanti del popolo” sono stati nominati, da oligarchie di partito, svincolate da ogni controllo popolare.
3. Attraverso l’introduzione di soglie di sbarramento irragionevoli, il “porcellum” ha soffocato il pluralismo, espellendo le minoranze, non coalizzate dal Parlamento.
4. Il referendum proposto non corregge nessuno dei difetti del “porcellum” ma, al contrario, li aggrava, esaltandone le conseguenze negative.
5. Il referendum propone sostanzialmente due modifiche della vigente legge elettorale: a) attribuisce il premio di maggioranza alla lista, che abbia ottenuto anche un solo voto in più delle altre liste concorrenti, abrogando la possibilità che il premio venga attribuito ad una coalizione di partiti; b) determina il raddoppio delle soglie di sbarramento confermando per tutti la soglia del 4% alla Camera dei Deputati e dell’8% al Senato (che la legge attuale impone soltanto ai partiti non coalizzati).
6. Attribuire il premio di maggioranza ad una sola lista determina un incremento inusitato del premio stesso, sovvertendo la regola basilare di ogni democrazia che si poggia sul principio che le decisioni si prendono a maggioranza.
7. In questo modo si realizzerebbe una sorta di dittatura della minoranza, in quanto un solo partito, senza avere il consenso della maggioranza del popolo italiano, avrebbe nelle sue mani il controllo del Governo e la possibilità di eleggere – da solo – il Presidente della Repubblica e di modificare la Costituzione.
8. La chiamata degli elettori alle urne per il referendum nasconde un inganno: essa sfrutta l’insoddisfazione generale che tutti noi nutriamo verso questa legge elettorale (il porcellum) per spingerci ad un voto che, qualunque sia il risultato, non può avere altro effetto che quello di rafforzare il porcellum.
9. Per questo si tratta di un referendum beffa: ci chiama alle urne per ammazzare il porcellum, ma in realtà lo ingrassa e lo rende intoccabile, in quanto il Parlamento non potrebbe fare delle riforme elettorali perché vincolato dal voto popolare espresso con il referendum.
10. Per questo diciamo No al referendum elettorale, non andando a votare e rifiutando le schede del referendum, se chiamati alle urne per il ballottaggio,

lunedì 1 giugno 2009

ASTENSIONE ATTIVA PER IL NO



Il prossimo 21 giugno gli italiani sono chiamati a pronunciarsi su tre quesiti referendari riguardanti la legge elettorale vigente.
I tre quesiti sono falsamente abrogativi: il loro effetto non è quello di abrogare in tutto o in parte la legge vigente, ma di scriverne una nuova, peggiore, se possibile, di quella attuale.
L’effetto di un eventuale successo del SI, non sarebbe infatti la cancellazione, totale o parziale, della legge definita come “porcata” da uno dei suoi autori, ma il lasciarne in piedi gli aspetti sostanziali, ivi comprese le liste bloccate, e di “aggiungere” un nuovo ed essenziale elemento: quello di spostare dalla maggior coalizione al maggior partito, quale che sia il risultato conseguito, l’attribuzione del premio di maggioranza.
In altre parole, con un sapiente uso dell’abolizione di parole e virgole, si “produce” una nuova legge.
Al di là di ogni considerazione di merito, questa constatazione, da sola, motiva adeguatamente un’azione politica volta a far fallire il tentativo di procedere ad una irrituale degenerazione dell’istituto referendario; che, ricordiamolo, è abrogativo, e non propositivo e legislativo.
Il modo più appropriato per contestare questo uso distorto del Referendum è quello di negarne alla radice la legittimità, non recandosi a votare per nessuno dei tre quesiti; o, recandosi a votare per gli eventuali ballottaggi delle amministrative, non ritirare le tre schede relative ai quesiti referendari. Il che non è astensionismo passivo: è astensione attiva, motivata da un preciso e motivato ragionamento sui meccanismi di funzionamento di una democrazia.
Lungi da noi l’idea di difendere il Porcellum, non possiamo convenire con un’operazione truffaldina, che cerca di far passare come abrogativo quel che abrogativo non è, risultando invece produttivo di una nuova legge. E veniamo alle implicazioni politiche di un eventuale successo del SI.
Gli italiani devono sapere che in questo caso, cambierebbero due cose:
La prima, pienamente condivisibile in via di principio ma di non rilevante impatto politico:
Verrebbe eliminata la possibilità delle candidature plurime al Senato ed alla Camera, che ha consentito sinora ai maggiori leaders dei diversi partiti di candidarsi in più circoscrizioni.
La seconda, che ha invece carattere sostanziale:
Il premio di maggioranza, che il Porcellum (la legge attuale) riserva alla coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti, verrebbe invece attribuito alla singola lista che abbia ottenuto il più alto numero di voti. In pratica, se si votasse oggi con la legge che deriverebbe dalla vittoria del Referendum, il PdL (e cioè l’arzillo Cavaliere) avrebbe, da solo, e senza bisogno dei voti della Lega o del MPA, la maggioranza assoluta nelle due Camere.
In quanto al PD, il successo del SI garantirebbe a quel partito il ruolo di eterno secondo, e di monopolista padrone di un’opposizione addomesticata.
In quanto alle altre formazioni, esse si troverebbero a dover scegliere tra il dover lottare per la conquista della soglia del 4% alla Camera e dell’8% al Senato, o il dover accettare l’ospitalità, alle condizioni dettate dai due partiti maggiori, nelle liste di questi.
Non sembra, questo, un buon programma di lotta alla partitocrazia: il potere di condizionare il sistema politico italiano verrebbe concentrato nei ristrettissimi vertici dei due maggiori partiti, i quali verrebbero messi in condizione di determinare, da soli, i nominativi di tutti i componenti della Camera e del Senato, senza che agli italiani venga consentito un minimo di intervento sulla scelta della rappresentanza. Il potere della partitocrazia non verrebbe ridotto, ma semplicemente concentrato nelle mani di due monopolisti tra loro non competitivi: quello dell’intero Paese e, ben distanziato, quello della minoranza.

Poiché la politica non può prescindere dalla valutazione della realtà quale essa ci si presenta, l’aspetto più grave della questione è che l’eventuale successo del SI sarebbe il rendere l’intera politica italiana ostaggio di un signore che non fa più alcun mistero della propria vocazione al cesarismo. Il partito di questo signore, cioè lui in prima persona, visto il tasso di democrazia interna, anche statutariamente stabilito, del PdL, nominerebbe da solo, forse col consiglio dei genitori di quelle signorine che lo chiamano Papi, almeno il 55% delle due Camere: quelle stesse che eleggeranno il prossimo Presidente della Repubblica, e che, probabilmente, ridisegneranno la mappa istituzionale della Repubblica. In nessuna democrazia al mondo è mai avvenuto che una persona, da sola, potesse “nominare” il 55% del Parlamento; e neanche in molti regimi autoritari.

Questo sistema elettorale ha, in Italia, un solo precedente: la legge Acerbo del 1923, che alcuni hanno visto come l’atto di suicidio di un Parlamento (non l’unico nella storia europea: Reichstag, 1933; Assemblée Nationale, 1940), che consentì al Parlamento poi eletto con tale sistema, e dominato dal PNF, di instaurare il regime senza violare la legalità formale.

Sarebbe opportuno avere la decenza di non parlare di bipartitismo dell’alternanza come risultato dell’eventuale successo del SI, quando in questo Paese vengono cancellati gli strumenti democratici per renderla praticabile, ad iniziare dalla libertà e dal pluralismo dell’informazione.
E non si venga a dire che il successo del SI obbligherà Forze politiche e Parlamento a riscrivere la legge, ed a scriverne una migliore: se questa volontà e questa capacità vi fossero state, si sarebbe già provveduto, magari a suon di voti di fiducia, o in virtù di un accordo generale come è stato per la legge elettorale europea. Non si riesce a capire come sia possibile mistificare i fatti ed imbrogliare gli italiani in questo modo.
Per una volta, il presidente del consiglio ha detto la verità: “il SI mi dà il 55%; sarei masochista a votare NO”. La brutale e logica chiarezza di questa dichiarazione ridicolizza il balbettio incoerente di quegli esponenti della minoranza parlamentare che accampano pretesti per trovare una qualche motivazione per il SI: per essi, l’unica, vera quanto inconfessabile, motivazione, è quella dell’essersi arresi chiedendo grazia al vincitore.

Se questo è lo scenario che si verrebbe a creare in caso di successo del SI, tutti quegli italiani di destra, di sinistra e di centro che ancora pensano che non sia cosa saggia il consegnare tutto il potere ad un solo partito (e cioè, nel nostro caso, ad un solo uomo), senza reali possibilità di alternanza, devono impegnarsi perché il Referendum non abbia successo.
Ciò riguarda gli elettori della Lega e di altre formazioni della Destra, e gli stessi elettori del PdL, se ve n’è qualcuno che pensa che il governo di un uomo solo non sia un bene per il Paese, e neanche, tutto sommato, per la propria parte politica.
Riguarda quegli elettori del PD, più o meno convinti della capacità di tenuta di quel partito, ma che ritengono che la prospettiva del PD non possa ridursi al ruolo di eterno secondo, compensato dalla concessione del monopolio di un’opposizione addomesticata.
E riguarda gli elettori ed i simpatizzanti di tutte le altre formazioni presenti o meno in Parlamento, che si vedrebbero costretti in una gabbia falsamente bipartitica; in realtà monocratica.
Riguarda, in sostanza, tutti gli italiani che ancora ritengono che la nostra, comunque, debba essere una democrazia, governata dalla destra o dalla sinistra che sia; ma comunque, una democrazia e non il regime personale di un solo uomo. Perché questa, in definitiva, è la posta in gioco.
A tutti questi ci si deve rivolgere perché il Referendum non abbia successo.
Poiché il rischio di involuzione ulteriore verso un finto bipartitismo populista è immenso, è inderogabile seguire la strada che offra la massima probabilità di far fallire questa operazione truffaldina.

Questa strada è quella di non recarsi a votare il 21 Giugno, o di non ritirare le tre schede referendarie dove quel giorno si sarà chiamati al voto per i ballottaggi delle amministrative, per effetto di una meditata scelta politica, motivata prima di tutto dalla considerazione di principio che qui sopra ha preceduto il ragionamento di merito politico, e motivata dalla realistica valutazione del merito e delle condizioni politiche attuali.

Astensione, allora, come scelta attiva di interessamento alla vita democratica, e non come rifiuto della politica.

Gim Cassano, 11-05-2009

I pericoli dietro il referendum del 21 Giugno


A proposito del prossimo referendum sul sistema elettorale Il referendum del 21 giugno, che ha come oggetto la modifica della legge elettorale, richiede un’attenta riflessione sugli esiti di un suo eventuale successo.
Una vittoria dei Sì determinerebbe un ulteriore deterioramento della democrazia nel nostro paese, perché consegnerebbe tutto il potere decisionale ad un unico partito, in quanto il premio di maggioranza verrebbe assegnato al partito che ha ottenuto la maggioranza relativa. Ciò limiterebbe più di ora la possibilità di scelta effettiva degli elettori e aumenterebbe il peso del partito vincente. Peraltro non eliminerebbe gli aspetti perversi dell’attuale sistema: il meccanismo delle liste bloccate e della selezione dei candidati per cooptazione, che sottrae potere decisionale ai cittadini, nonché il rafforzamento della coalizione vincente attraverso il premio di maggioranza. Resterebbe anche il premio "regionale" per il Senato, e quindi la possibilità che si formino maggioranze diverse nelle due camere.
Riteniamo che l’unica via per avviare un dibattito parlamentare, ma anche un dibattito pubblico, in grado di sollecitare l’approvazione di una nuova legge elettorale sia il mancato raggiungimento del quorum. L’invito all’astensione è dunque motivato non solo dall’esigenza di non peggiorare ulteriormente una pessima legge elettorale, che è riuscita a peggiorare perfino il discutibilissimo “Mattarellum”, ma anche di avviare un largo ripensamento sul modo avventuroso e democraticamente discutibile con cui da quasi vent'anni si è devastata tutta la legislazione elettorale: causa non ultima dell'emergenza democratica che stiamo attraversando.


da www.nuvole.it

giovedì 28 maggio 2009

L'ULTIMO AFFONDO



di Gianni Ferrara da Il Manifesto del 26 Maggio 2009

È duplice, oltre che devastante, l'assalto che la democrazia italiana deve respingere in questa precoce estate. A quello premeditato da due anni dal golpismo referendario che il 21 giugno vuole celebrare il suo trionfo, si è aggiunto l'attacco micidiale che Berlusconi ha scatenato in questi giorni per spostare l'attenzione del pubblico dall'affaire Noemi e dalla condanna di Mills a un tema a lui favorevole. Quello che, appagando un vizio congenito del reazionarismo italiota, l'antiparlamentarismo, gli offriva l'ulteriore vantaggio di corrispondere alla sua viscerale insofferenza per la democrazia rappresentativa, l'unica, peraltro, che ci è rimasta.
Le due offensive si congiungono. Berlusconi - lo ha dimostrato cento volte - non tollera limiti giuridici, istituzionali, politici, sociali, morali al potere di cui dispone e a quello che vuole acquisire. Odia più di ogni altra cosa al mondo Montesquieu. Non ammette che si freni il suo potere e la sua pretesa a espanderlo. Il freno, a suo parere, va imposto a chi dovesse giudicarlo, a chi osasse criticarlo, a chi, per remota ipotesi, potesse, sfiduciarlo. A tre istituzioni, dunque, alla Magistratura, al Parlamento, agli apparati che formano l'opinione pubblica.
Se per influire, anzi per determinare quel che pensa il pubblico può bastare, per ora, il sistema delle emittenti di sua proprietà, del controllo assoluto di almeno altre due emittenti del servizio pubblico, delle testate proprie e di famiglia e della influenza su moltissime altre, se alla Magistratura si può provvedere rovesciando il significato della norma costituzionale in modo che possa essere la polizia giudiziaria, quindi il governo, a disporre del pubblico ministero, l'occasione del referendum elettorale, si offre magnificamente a ridimensionare in via definitiva il Parlamento, rendendolo organo servente del governo, del suo capo, Berlusconi.
In che modo? La riduzione del numero dei parlamentari è un pretesto. Su tale riforma c'è consenso unanime. Basterebbero pochi mesi per approvare una delle proposte di legge già presentate. Ma Berlusconi mira ad altro, ad una spoliazione e a una appropriazione. Dopo aver ridotto con la legge elettorale vigente, il porcellum, i deputati e i senatori a figuranti, sottoposti, perché non eletti dal corpo elettorale, ma sostanzialmente nominati dai capi-partito, li vuole delegittimare con una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare volta appunto alla riduzione del numero dei membri delle due Camere. Scontata l'approvazione della riforma, il merito sarebbe però attribuito ai cittadini proponenti la proposta di riforma e soprattutto a chi li ha sollecitati, quindi a Berlusconi. Perché ha promosso la rivolta degli elettori contro i propri rappresentanti, li ha guidati, li ha portati alla vittoria, spezzando, una volta per tutte, il loro rapporto con l'istituzione nata e destinata a collegarli stabilmente allo stato apparato.

Di quante e quali altre rotture diverrebbe foriera questa procedura modificatrice della composizione del Parlamento?
Il risultato sarebbe disastroso. Lo sarebbe per l'istituzione parlamentare, facendola apparire come incapace di riformare e di riformarsi, senza l'impulso di Silvio Berlusconi, che si ergerebbe a interprete e rappresentante autentico e unico di tutto il popolo.
Sarebbe disastroso soprattutto per la rappresentanza politica, l'istituto fondamentale della democrazia moderna, quindi per la democrazia stessa. Liquidata la rappresentanza parlamentare, comunque delegittimata come strumento di trasmissione e di accoglimento delle istanze sociali, chi mai potrà recepire queste istanze e soddisfarle?
Ce lo dice il referendum previsto per il prossimo 21 giugno.
Il «sì» ai due quesiti principali non lasciano dubbi: sarebbe affidato al governo, quindi al suo capo, il compito di soddisfare le domande sociali. Ma quale tipo di governo? Non è la rappresentanza della società, nella sua conformazione, nella sua complessità, con i suoi divari, le sue contraddizioni, le sue disuguaglianze che interessa i promotori. A essi interessa il potere da sostenere, da tutelare, da rafforzare, da garantire (a chi lo ha).
I quesiti sono chiari, non modificano la pessima legge elettorale che ha espropriato le elettrici e gli elettori del diritto di scegliere i propri rappresentanti, non eliminano il premio di maggioranza e non ne riducono l'entità. Anzi, aggravano la truffa di questo perverso marchingegno che trasforma una minoranza in maggioranza. Permettono che, anche una lista che ottenga il trenta per cento dei voti, o anche meno, purché uno solo in più di ciascuna delle altre, possa ottenere il 54 per cento dei seggi alla Camera dei deputati e analogo effetto al Senato.
Che significa? Significa che Berlusconi potrebbe ottenere la maggioranza alla Camera e al Senato, da solo. Senza condizionamenti. Senza remore, essendo a capo di un partito organizzato e retto secondo un modello ancora più assolutistico delle stesse monarchie assolute. Si può immaginare con quale spirito, con quale sensibilità accoglierebbe le domande sociali. Il senso del referendum Berlusconi lo ha capito perfettamente. Ci punta e ha raddoppiato la posta. Mira a fare il pieno.
Possiamo impedirglielo e lo dobbiamo. Rifiutando di sottoscrivere la sua proposta di legge e, al referendum, astenendoci o ricusando la scheda.

martedì 26 maggio 2009

No al referendum elettorale


Il 21 giugno saremo chiamati a votare, ancora una volta, su referendum elettorali. Certo, condividiamo il diffuso giudizio negativo sulle leggi vigenti per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Queste leggi espropriano le elettrici e gli elettori del diritto di scegliere i propri rappresentanti. Oggi non sono gli elettori e le elettrici a scegliere i parlamentari, questi sono nominati dai capi-partito.
L’attuale sistema elettorale andrebbe trasformato radicalmente, per assicurare alle Assemblee elettive il pluralismo delle forze politiche e la massima rappresentatività del popolo italiano.
A tutt’altro, invece, mirano i quesiti del referendum del 21 giugno, che non riguardano il sistema delle liste bloccate e dunque le confermano. Il vero risultato giuridico del referendum sarebbe quello di consegnare il Paese al solo partito che avesse un voto in più di ciascun altro, attribuendogli più della maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento: con appena il 30 % o il 20% dei voti avrebbe il 54% dei seggi alla Camera. Inoltre dal Senato sarebbero escluse tutte le liste che non raggiungessero l’8%.
Con la vittoria dei sì, si avrebbero un premio di maggioranza e una soglia di sbarramento enormi, senza precedenti nella storia istituzionale italiana e in quella di ogni paese civile. Con tre quesiti, che modificano ben 67 punti delle due leggi elettorali, oscuri nella formulazione ma chiari nella finalità di manipolare il sistema di voto, si vuole imporre il bipartitismo coatto, al di là dell’effettiva volontà dei cittadini.
Con la vittoria dei sì, si impedirebbe qualsiasi ulteriore riforma elettorale.
Con la vittoria dei sì, sarebbe confermato un sistema che trasforma una minoranza elettorale in stragrande maggioranza parlamentare (tale da poter agevolmente cambiare la Costituzione a suo piacimento), e che ingigantisce il potere del capo di tale arbitraria maggioranza.
Un siffatto sistema elettorale viola la Costituzione, e deve essere rifiutato: il referendum deve fallire, attraverso la non partecipazione al voto o il rifiuto della scheda, per impedire la cancellazione della democrazia parlamentare e per rendere possibile una riforma elettorale che restituisca la parola ai/alle cittadini/e.


Gianni FERRARA, Pietro ADAMI, Cesare ANTETOMASO, Gaetano AZZARITI, Francesco BILANCIA, Claudio DE FIORES, Tommaso FULFARO, Domenico GALLO, Orazio LICANDRO, Enzo MARZO, Mario MONTEFUSCO, Francesco PARDI, Alba PAOLINI, Gianluigi PEGOLO, Pino A. QUARTANA,Franco RUSSO, Giovanni RUSSO-SPENA, Cesare SALVI, Lorenza CARLASSARE, Mario DOGLIANI, Roberto LA MACCHIA, Mattia STELLA, Massimo VILLONE, Paola MASSOCCI,Domenico GIULIVA, Andrea AIAZZI, Bruno MARTELLONE, Sergio PASTORE, Luigi GALLONI, Silvio GAMBINO, Paolo de SANCTIS, Aldo FAPPANI, Michele CHILLEMI, Roberto PORTA, Corrado MORGIA, Roberto GIULIANI, Imma BARBAROSSA, Gim CASSANO
Nikea ALBANESE S., Maria D. ASCHETTINO, Alessandro AVALLONE, Luca BAIDA, Gianni BERNARDINI, Giuseppina BILLI, Angela BINDI, Pino BRANDI, Giuseppe BRONZINI,Anna Maria BRUNI, Antonio CANALIA, Sergio CARRARO, Pietrina CHESSA, Marco CHIEFFI, Emanuele CHIODINI, Cosimo A.CILIBERTO, Michele CITOLI, Maurizio COLLEONE, Marco DAL TOSO, Vito DE BARI, Mario DE LUCA, Paolo DESANCTIS, Lucia DELEGU, Maria DENISE, Ettore DETTORI, Viviana D'ONOFRIO, Daniele DOMBARILLARI, Marina DONDERO, Marcello FAGIOLI, Stefano FALCINELLI, Aldo FAPPANI, Luigi FERRAJOLI, Ilia FUBUNI, Daniela GAMBA, Silvio GAMBINO, Piero GHISETTI, Roberto GIULIANI, Domenico GIULIVA, Antonio GRIMALDI, Pasquale INDULGENZA, Adriana LIBANETTI, Gianluca LOMBARDI, Saverio LUZZI, Giuseppe MAGARO, Angela MANCUSO, Monica MARTENGHI, Giorgio MASSI, Enrico M. MASSUCCI, Gerardo MAZZAFERRO, Francesco MERLONI, Enrico MONZATTI, Corrado MORGIA, Consuelo MOTTA, Norberto NATALI, Mario OTTAVI, Teresio PANERO, Paola PELLEGRINI, Tonino PERNA, Raffaele PICCOLI, Roberto PORTA, Franco RAGUSA, Alessandro RAPINESE, Massimo RECCHIONI, Maria RICCIARDI, Dario ROSSI, Antonia SANI, Adriana SPERA, Graziella STECCONI, Rosa TAVELLA, Emanuele TIONE, Stefano TONDOLO, Gennaro VARRIALE, Luca ZAMPORLINI, Guglielmo ZANETTA, Maura ZAPPA, Cataldo ZINGAROLI.


Per adesioni
fs.russo@tiscali.it

Roma 20 maggio 2009

Critica liberale e la campagna astensionista

Critica liberale ritiene urgente che si organizzino “Comitati per l’astensione” in occasione dei referendum elettorali del prossimo 21 giugno, e si avvii una campagna per il boicottaggio del voto: una campagna astensionista è ormai il solo strumento rimasto per evitare la catastrofe definitiva della democrazia liberale in Italia e la sua completa sostituzione con una dittatura plebiscitaria.
Questi sono referendum truffaldini, perché si presentano come abrogativi di una legge pessima come la “Porcata” di Calderoli, ma al contrario ne aggravano irrimediabilmente tutti gli effetti.
Dei tre quesiti referendari l’unico che apporterebbe un miglioramento dell’attuale orrenda “legge-porcata” (come la definì il suo stesso autore) è quello di gran lunga meno importante, il terzo, che impedirebbe le candidature multiple che oggi fungono da specchietto per le allodole. Un miglioramento del tutto trascurabile rispetto alla catastrofe costituzionale, alla super-porcata, che sarebbe prodotta dai primi due. Questi consegnerebbero il paese, senza più contrappesi di alcun rilievo, nelle mani del “capo” del partito di maggioranza relativa: anche con meno di un quarto dei voti (anche con il 23 % di Forza Italia del 2006), con questa legge il partito relativamente più grosso avrebbe sempre e comunque il 55% dei parlamentari. Nell’attuale situazione Berlusconi non potrebbe che vincere sempre e comunque, e diventare il padrone assoluto a vita dell’Italia, circondato da parlamentari-dipendenti nominati solo da lui e responsabili esclusivamente verso di lui. Con la vittoria del SÌ l’esito scontato delle future elezioni politiche sarebbe quello di conferire a Berlusconi i pieni poteri: non solo sarebbero nelle sue mani le leggi, le regole del gioco e l’elezione del presidente della Repubblica, ma gli si renderebbero più agevoli la modifica della Costituzione e l’elezione di tutti gli organi di garanzia. Con la legge Acerbo, Mussolini poté trasformare il suo 64,9 % dei voti nei due terzi dei seggi: una distorsione minima rispetto a quella prevista dai prossimi referendum.
È stupido, ridicolo e patetico fingere di credere che, ottenuto su un piatto d’argento un tale risultato grazie ai suoi insipienti oppositori, Berlusconi sarebbe poi disposto a ridiscutere tutto, concordando con loro una nuova legge elettorale. I suoi, del resto, l’hanno già esplicitamente dichiarato.
Si possono avere le opinioni più varie sul bipartitismo in sé, ma non si può discuterne come se la qualità dei soggetti in campo fosse irrilevante anziché assolutamente determinante.
Regalare a Berlusconi uno smisurato dominio soltanto per distruggere i partiti potenzialmente alleati e per costringere il loro elettorati a votare Pd è stato il tragico storico errore della classe dirigente veltroniana. Ripeterlo, aggravarlo e renderlo permanente significa non apprendere le lezioni della storia. Il centrosinistra e la sinistra hanno più che ampiamente dimostrato di non avere capacità di aggregazione di forze diverse in un solo polo e addirittura in una coalizione di governo. È pura farneticazione pensare che, in tempi ragionevoli, il Pd, che non riesce a riunire neppure le forze già presenti al suo interno, possa comprendere e rappresentare da solo un elettorato così variegato, dagli estremisti clericali come la Binetti fino ai comunisti di Ferrero. Il tutto, mentre Berlusconi ha già operato felicemente l’aggregazione della destra in un solo partito, il suo.
Per tutti gli altri vaneggiare di bipartitismo in questa condizioni è letale per la democrazia. Ed ancor più dissennata è l’idea di rafforzare la posizione della maggioranza parlamentare nel momento in cui quella al potere è la più forte della storia repubblicana.
Come abbiamo ampiamente sperimentato a nostre spese, il meccanismo previsto dalla legge referendaria avvantaggia sempre i sostenitori del NO a qualunque proposta di abrogazione: ora, nella battaglia contro il rafforzamento della legge-porcata, l’astensione gioca a nostro favore perché incamera anche l’astensionismo fisiologico. La posta in gioco è troppo alta per rinunciare a questo vantaggio. Perciò, chi vuole effettivamente negare questo regalo a Berlusconi e impedire il definitivo svuotamento della democrazia italiana non può limitarsi a votare NO, ma deve astenersi. Date le forze e le risorse in campo, l’eventuale vittoria del NO è estremamente improbabile: andare a votare NO servirebbe quindi soltanto a far superare il quorum e a provocare la vittoria del SÌ. I nostri concittadini, per quanto narcotizzati da un’informazione asservita, e il Pd, pur nell’assoluta insipienza di cui sta dando prova, e gli stessi alleati di Berlusconi, sono pronti a consegnare i pieni poteri e tutte le nostre libertà a uno come lui?

Referendum, la scelta di LeG: astenersi o votare No

Astenersi o votare NO: è questa la scelta che Libertà e Giustizia ha deciso di raccomandare ai soci e agli amici che chiedono con insistenza una posizione sul referendum del 21 giugno.

Un referendum su una pessima legge elettorale che avrebbe come risultato, qualora fosse approvato, una legge ancora più devastante, che non costringerebbe affatto il Parlamento a farne una migliore, ma che potrebbe avere come risultato il rafforzamento in Italia non del bipartitismo o del bipolarismo, bensì di un solo partito. Un monopartitismo che aprirebbe le porte a una vera e propria avventura della quale non vogliamo sentirci in alcun modo responsabili e che ci sentiamo di contrastare con la forza della nostra associazione.

Il ragionamento di LeG è sempre partito da alcuni presupposti, punti fondamentali e principi ispiratori. Riteniamo che una legge elettorale debba rispondere ad alcune condizioni:

1) Deve contribuire ad avvicinare i cittadini elettori alle forze politiche, coinvolgerli nelle scelte dei candidati che saranno chiamati a rappresentarli in Parlamento.

2) Deve riuscire a stabilire nel risultato un rapporto tra rappresentanti e elettori che corrisponda realmente alla volontà espressa.

3) Deve essere semplice e facile da capire, affinché ognuno possa votare nella consapevolezza dell’effetto che avrà il suo voto

Tutto questo evidentemente ci è stato sottratto con il Porcellum e non sarebbe corretto da un eventuale vittoria del Si nel referendum, che abroga solo alcune disposizioni lasciando invariate o peggiorando le altre.

Le proposte abrogative su cui si voterà sono le seguenti:

1) per la Camera, soppressione della norma che consente la candidatura di una persona in una pluralità di collegi: cesserebbe così la possibilità per i dirigenti dei partiti di candidarsi ovunque, in testa di lista.

2) Sia per la Camera che per il Senato , soppressione della possibilità di formare coalizioni: la maggioranza assoluta dei seggi (54% nazionale alla camera, 55% in ogni collegio regionale al Senato) andrebbe alla singola “lista” che abbia conseguito la maggioranza relativa (anche un voto più degli altri), quale che sia la percentuale dei voti conseguita.

Resterebbe dunque immutato il meccanismo delle liste bloccate con un ordine di lista deciso dalle segreterie dei partiti.

Non vi è dubbio alcuno dunque che se fosse raggiunto il quorum e vincessero i Sì, i cittadini sarebbero sempre più espropriati del diritto di eleggere i propri rappresentanti, diritto fondamentale in ogni democrazia. La maggioranza assoluta assegnata al partito vincente, quale che sia la percentuale di voti ottenuta, estremizza il premio di maggioranza rendendolo non uno strumento di governabilità, bensì uno strumento che stravolge il senso della volontà realmente espressa dagli elettori.
Questo forte partito vincente sarebbe in grado da solo di cambiare la costituzione secondo i propri interessi particolari e con eventuali singole alleanze modificarla addirittura con i due terzi, maggioranza che preclude il ricorso al referendum confermativo.
Queste sono le preoccupazioni espresse dal nostro presidente onorario Gustavo Zagrebelsky. Della stessa natura era la valutazione espressa da Leopoldo Elia anche all’interno del “Comitato salviamo la Costituzione” (di cui era presidente del comitato scientifico).

Alcune forze politiche in questi giorni vanno sostenendo che il rischio della nascita in Italia di un forte partito unico potrebbe esser contrastato all’indomani del referendum da nuove forme di intese con la Lega, o, forse, dal ritorno al Mattarellum, per il quale in Senato si stanno raccogliendo le firme. Anche Libertà e Giustizia sosteneva da sola che questa fosse una soluzione possibile: ma eravamo nel 2007, 2008 e si sperava ancora di poter andare alle future elezioni con una legge diversa dal Porcellum.

A questo punto i calcoli politici devono lasciare lo spazio ai problemi di fondo della democrazia. Questo referendum la ferisce e dobbiamo dunque contrastarne un esito positivo.

Riteniamo che coloro che giudicano indispensabile riconfermare col proprio voto il valore dello strumento referendum possano proprio nel nome della democrazia votare No (purché abbiano presente che contribuiscono al raggiungimento del quorum).

Coloro invece che ritengono prioritario far fallire questo specifico referendum, possono “nel nome della democrazia” (Massimo Teodori) astenersi e non ritirare la scheda.

La nostra Costituzione


Garantiamo la libertà di voto

L’abbinamento del voto sul referendum Guzzetta-Segni al secondo turno delle elezioni amministrative rischia di falsare clamorosamente l’espressione della volontà degli elettori.

L’articolo 75 della Costituzione, prevedendo un quorum minimo di votanti per la validità dei referendum abrogativi (e solo per quelli), prevede una eccezione al dovere civico del voto contenuto nell’art. 48. L’elettore può dunque legittimamente scegliere non solo se votare Si o No, ma anche SE votare o, non votando, contribuire a far fallire il referendum.
Scelta tanto più opportuna in un caso, come l’attuale, in cui se la vittoria del SI provocherebbe un ulteriore aggravamento della legge attuale (che risulterebbe addirittura peggiore della mussoliniana legge Acerbo), quella del NO rischierebbe di essere interpretata come una sua legittimazione, rendendone più difficile la sostituzione con una legge elettorale migliore e soprattutto non incostituzionale.
Al di là di quanto quotidianamente sbandierato, infatti, la vittoria del referendum non modificherebbe l’impossibilità di esprimere preferenze, e renderebbe possibile a una esigua minoranza di conquistare la maggioranza del Parlamento.
Allo stato attuale delle cose, inoltre, l’applicazione (immediatamente possibile) della legge ‘corretta’ potrebbe prevedibilmente consentire a PDL e Lega di modificare da sole la Costituzione impedendo perfino il rferendum che già una volta ha bloccato questo disegno antidemocratico.

Quando fu lanciata la raccolta delle firme per il referendum molti la interpretarono come una estrema sollecitazione al Parlamento per l’approvazione di una nuova legge elettorale, convinti che al referendum non saremmo mai arrivati. Ma l’abisso in cui il nostro Paese sta precipitando evidentemente non ha ancora toccato il fondo e solo le previsioni peggiori si realizzano.
Molti ora, in una condizione assai diversa, si dissociano da quella decisione.

Rimane però il rischio che agli elettori che si recheranno comunque alle urne per i ballottaggi (e che non ci sarebbero andati per il referendum) vengano comunque consegnate anche le tre schede referendarie, contribuendo così automaticamente al raggiungimento del quorum e, evidentemente, al successo del SI.
E’ dunque indispensabile una azione di corretta informazione, che chiarisca la necessità, per quanti intendano rifiutare lo strumento referendario in questo caso, di NON RITIRARE LE TRE SCHEDE, facendo verbalizzare il rifiuto.

Questa campagna informativa dovrebbe anche coinvolgere i Presidenti delle sezioni, che non devono in alcun modo influenzare la volontà degli elettori e potrebbero essere ritenuti giuridicamente responsabili di comportamento scorretto. Sarebbe opportuno che fra il materiale che viene abitualmente fornito loro dagli Uffici Elettorali dei Comuni ci fosse anche una specifica nota in tal senso.

Altra opera di sensibilizzazione dovrebbe essere attuata nei confronti dei rappresentanti di lista dei partiti politici, tenendo presente che nella sezione non potranno essere presenti, in base alla legge, i rappresentanti di eventuali comitati per il NO o per l’astensione, ma solo quelli dei promotori del referendum e, appunto, dei partiti politici.

Solo così l’esito del voto sarà realmente frutto della libera scelta degli elettori, che potranno scegliere se approvare uno o più dei tre quesiti, se respingerli totalmente, o se, facendo fallire il referendum, pretendere dal Parlamento che un argomento fondamentale per il nostro sistema democratico venga affrontato in un confronto aperto e trasparente e risolto con il massimo consenso e con una nuova legge elettorale che, restituendo ai cittadini il diritto di scegliere da chi farsi rappresentare e governare, rispetti il dettato costituzionale.