lunedì 1 giugno 2009
ASTENSIONE ATTIVA PER IL NO
Il prossimo 21 giugno gli italiani sono chiamati a pronunciarsi su tre quesiti referendari riguardanti la legge elettorale vigente.
I tre quesiti sono falsamente abrogativi: il loro effetto non è quello di abrogare in tutto o in parte la legge vigente, ma di scriverne una nuova, peggiore, se possibile, di quella attuale.
L’effetto di un eventuale successo del SI, non sarebbe infatti la cancellazione, totale o parziale, della legge definita come “porcata” da uno dei suoi autori, ma il lasciarne in piedi gli aspetti sostanziali, ivi comprese le liste bloccate, e di “aggiungere” un nuovo ed essenziale elemento: quello di spostare dalla maggior coalizione al maggior partito, quale che sia il risultato conseguito, l’attribuzione del premio di maggioranza.
In altre parole, con un sapiente uso dell’abolizione di parole e virgole, si “produce” una nuova legge.
Al di là di ogni considerazione di merito, questa constatazione, da sola, motiva adeguatamente un’azione politica volta a far fallire il tentativo di procedere ad una irrituale degenerazione dell’istituto referendario; che, ricordiamolo, è abrogativo, e non propositivo e legislativo.
Il modo più appropriato per contestare questo uso distorto del Referendum è quello di negarne alla radice la legittimità, non recandosi a votare per nessuno dei tre quesiti; o, recandosi a votare per gli eventuali ballottaggi delle amministrative, non ritirare le tre schede relative ai quesiti referendari. Il che non è astensionismo passivo: è astensione attiva, motivata da un preciso e motivato ragionamento sui meccanismi di funzionamento di una democrazia.
Lungi da noi l’idea di difendere il Porcellum, non possiamo convenire con un’operazione truffaldina, che cerca di far passare come abrogativo quel che abrogativo non è, risultando invece produttivo di una nuova legge. E veniamo alle implicazioni politiche di un eventuale successo del SI.
Gli italiani devono sapere che in questo caso, cambierebbero due cose:
La prima, pienamente condivisibile in via di principio ma di non rilevante impatto politico:
Verrebbe eliminata la possibilità delle candidature plurime al Senato ed alla Camera, che ha consentito sinora ai maggiori leaders dei diversi partiti di candidarsi in più circoscrizioni.
La seconda, che ha invece carattere sostanziale:
Il premio di maggioranza, che il Porcellum (la legge attuale) riserva alla coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti, verrebbe invece attribuito alla singola lista che abbia ottenuto il più alto numero di voti. In pratica, se si votasse oggi con la legge che deriverebbe dalla vittoria del Referendum, il PdL (e cioè l’arzillo Cavaliere) avrebbe, da solo, e senza bisogno dei voti della Lega o del MPA, la maggioranza assoluta nelle due Camere.
In quanto al PD, il successo del SI garantirebbe a quel partito il ruolo di eterno secondo, e di monopolista padrone di un’opposizione addomesticata.
In quanto alle altre formazioni, esse si troverebbero a dover scegliere tra il dover lottare per la conquista della soglia del 4% alla Camera e dell’8% al Senato, o il dover accettare l’ospitalità, alle condizioni dettate dai due partiti maggiori, nelle liste di questi.
Non sembra, questo, un buon programma di lotta alla partitocrazia: il potere di condizionare il sistema politico italiano verrebbe concentrato nei ristrettissimi vertici dei due maggiori partiti, i quali verrebbero messi in condizione di determinare, da soli, i nominativi di tutti i componenti della Camera e del Senato, senza che agli italiani venga consentito un minimo di intervento sulla scelta della rappresentanza. Il potere della partitocrazia non verrebbe ridotto, ma semplicemente concentrato nelle mani di due monopolisti tra loro non competitivi: quello dell’intero Paese e, ben distanziato, quello della minoranza.
Poiché la politica non può prescindere dalla valutazione della realtà quale essa ci si presenta, l’aspetto più grave della questione è che l’eventuale successo del SI sarebbe il rendere l’intera politica italiana ostaggio di un signore che non fa più alcun mistero della propria vocazione al cesarismo. Il partito di questo signore, cioè lui in prima persona, visto il tasso di democrazia interna, anche statutariamente stabilito, del PdL, nominerebbe da solo, forse col consiglio dei genitori di quelle signorine che lo chiamano Papi, almeno il 55% delle due Camere: quelle stesse che eleggeranno il prossimo Presidente della Repubblica, e che, probabilmente, ridisegneranno la mappa istituzionale della Repubblica. In nessuna democrazia al mondo è mai avvenuto che una persona, da sola, potesse “nominare” il 55% del Parlamento; e neanche in molti regimi autoritari.
Questo sistema elettorale ha, in Italia, un solo precedente: la legge Acerbo del 1923, che alcuni hanno visto come l’atto di suicidio di un Parlamento (non l’unico nella storia europea: Reichstag, 1933; Assemblée Nationale, 1940), che consentì al Parlamento poi eletto con tale sistema, e dominato dal PNF, di instaurare il regime senza violare la legalità formale.
Sarebbe opportuno avere la decenza di non parlare di bipartitismo dell’alternanza come risultato dell’eventuale successo del SI, quando in questo Paese vengono cancellati gli strumenti democratici per renderla praticabile, ad iniziare dalla libertà e dal pluralismo dell’informazione.
E non si venga a dire che il successo del SI obbligherà Forze politiche e Parlamento a riscrivere la legge, ed a scriverne una migliore: se questa volontà e questa capacità vi fossero state, si sarebbe già provveduto, magari a suon di voti di fiducia, o in virtù di un accordo generale come è stato per la legge elettorale europea. Non si riesce a capire come sia possibile mistificare i fatti ed imbrogliare gli italiani in questo modo.
Per una volta, il presidente del consiglio ha detto la verità: “il SI mi dà il 55%; sarei masochista a votare NO”. La brutale e logica chiarezza di questa dichiarazione ridicolizza il balbettio incoerente di quegli esponenti della minoranza parlamentare che accampano pretesti per trovare una qualche motivazione per il SI: per essi, l’unica, vera quanto inconfessabile, motivazione, è quella dell’essersi arresi chiedendo grazia al vincitore.
Se questo è lo scenario che si verrebbe a creare in caso di successo del SI, tutti quegli italiani di destra, di sinistra e di centro che ancora pensano che non sia cosa saggia il consegnare tutto il potere ad un solo partito (e cioè, nel nostro caso, ad un solo uomo), senza reali possibilità di alternanza, devono impegnarsi perché il Referendum non abbia successo.
Ciò riguarda gli elettori della Lega e di altre formazioni della Destra, e gli stessi elettori del PdL, se ve n’è qualcuno che pensa che il governo di un uomo solo non sia un bene per il Paese, e neanche, tutto sommato, per la propria parte politica.
Riguarda quegli elettori del PD, più o meno convinti della capacità di tenuta di quel partito, ma che ritengono che la prospettiva del PD non possa ridursi al ruolo di eterno secondo, compensato dalla concessione del monopolio di un’opposizione addomesticata.
E riguarda gli elettori ed i simpatizzanti di tutte le altre formazioni presenti o meno in Parlamento, che si vedrebbero costretti in una gabbia falsamente bipartitica; in realtà monocratica.
Riguarda, in sostanza, tutti gli italiani che ancora ritengono che la nostra, comunque, debba essere una democrazia, governata dalla destra o dalla sinistra che sia; ma comunque, una democrazia e non il regime personale di un solo uomo. Perché questa, in definitiva, è la posta in gioco.
A tutti questi ci si deve rivolgere perché il Referendum non abbia successo.
Poiché il rischio di involuzione ulteriore verso un finto bipartitismo populista è immenso, è inderogabile seguire la strada che offra la massima probabilità di far fallire questa operazione truffaldina.
Questa strada è quella di non recarsi a votare il 21 Giugno, o di non ritirare le tre schede referendarie dove quel giorno si sarà chiamati al voto per i ballottaggi delle amministrative, per effetto di una meditata scelta politica, motivata prima di tutto dalla considerazione di principio che qui sopra ha preceduto il ragionamento di merito politico, e motivata dalla realistica valutazione del merito e delle condizioni politiche attuali.
Astensione, allora, come scelta attiva di interessamento alla vita democratica, e non come rifiuto della politica.
Gim Cassano, 11-05-2009
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Perchè astensione anche per il terzo quesito?
RispondiEliminaDa un nostro post:
RispondiEliminaNOI NON VOTIAMO perché anche il 'non voto' è un legittimo diritto-dovere del cittadino, anche se nessuno ha il coraggio di dirlo.
NOI NON VOTIAMO perché, di fronte a due schieramenti insostenibili, il non voto è l'espressione più alta della protesta civile.
NOI NON VOTIAMO per non cadere nel tranello-farsa del 'se non voti sei antidemocratico'.
NOI NON VOTIAMO perché riponiamo la speranza nei veri e forti cambiamenti, quelli di cui abbiamo bisogno oggi.
NOI NON VOTIAMO perché sappiamo che questo referendum (sottolineo questo) è un prestar la mano ad una truffa ben architettata nei confronti della società civile.
NOI NON VOTIAMO perché si capisca forte e chiaro che nessuno, allo stato attuale, ci rappresenta: nè i singoli, nè i partiti, nè le liste.
NOI NON VOTIAMO perché sappiamo che il nostro Paese, più che di un nuovo sistema elettorale, ha bisogno di una nuova classe politica (forse anche di una classe non politica).
NOI NON VOTIAMO anche se non c'è peggior cieco/sordo di chi non vuol vedere/sentire e se ne infischia delle motivazioni di cui sopra.
NOI NON VOTIAMO nel pieno rispetto dell'altrui pensiero in merito.