giovedì 28 maggio 2009
L'ULTIMO AFFONDO
di Gianni Ferrara da Il Manifesto del 26 Maggio 2009
È duplice, oltre che devastante, l'assalto che la democrazia italiana deve respingere in questa precoce estate. A quello premeditato da due anni dal golpismo referendario che il 21 giugno vuole celebrare il suo trionfo, si è aggiunto l'attacco micidiale che Berlusconi ha scatenato in questi giorni per spostare l'attenzione del pubblico dall'affaire Noemi e dalla condanna di Mills a un tema a lui favorevole. Quello che, appagando un vizio congenito del reazionarismo italiota, l'antiparlamentarismo, gli offriva l'ulteriore vantaggio di corrispondere alla sua viscerale insofferenza per la democrazia rappresentativa, l'unica, peraltro, che ci è rimasta.
Le due offensive si congiungono. Berlusconi - lo ha dimostrato cento volte - non tollera limiti giuridici, istituzionali, politici, sociali, morali al potere di cui dispone e a quello che vuole acquisire. Odia più di ogni altra cosa al mondo Montesquieu. Non ammette che si freni il suo potere e la sua pretesa a espanderlo. Il freno, a suo parere, va imposto a chi dovesse giudicarlo, a chi osasse criticarlo, a chi, per remota ipotesi, potesse, sfiduciarlo. A tre istituzioni, dunque, alla Magistratura, al Parlamento, agli apparati che formano l'opinione pubblica.
Se per influire, anzi per determinare quel che pensa il pubblico può bastare, per ora, il sistema delle emittenti di sua proprietà, del controllo assoluto di almeno altre due emittenti del servizio pubblico, delle testate proprie e di famiglia e della influenza su moltissime altre, se alla Magistratura si può provvedere rovesciando il significato della norma costituzionale in modo che possa essere la polizia giudiziaria, quindi il governo, a disporre del pubblico ministero, l'occasione del referendum elettorale, si offre magnificamente a ridimensionare in via definitiva il Parlamento, rendendolo organo servente del governo, del suo capo, Berlusconi.
In che modo? La riduzione del numero dei parlamentari è un pretesto. Su tale riforma c'è consenso unanime. Basterebbero pochi mesi per approvare una delle proposte di legge già presentate. Ma Berlusconi mira ad altro, ad una spoliazione e a una appropriazione. Dopo aver ridotto con la legge elettorale vigente, il porcellum, i deputati e i senatori a figuranti, sottoposti, perché non eletti dal corpo elettorale, ma sostanzialmente nominati dai capi-partito, li vuole delegittimare con una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare volta appunto alla riduzione del numero dei membri delle due Camere. Scontata l'approvazione della riforma, il merito sarebbe però attribuito ai cittadini proponenti la proposta di riforma e soprattutto a chi li ha sollecitati, quindi a Berlusconi. Perché ha promosso la rivolta degli elettori contro i propri rappresentanti, li ha guidati, li ha portati alla vittoria, spezzando, una volta per tutte, il loro rapporto con l'istituzione nata e destinata a collegarli stabilmente allo stato apparato.
Di quante e quali altre rotture diverrebbe foriera questa procedura modificatrice della composizione del Parlamento?
Il risultato sarebbe disastroso. Lo sarebbe per l'istituzione parlamentare, facendola apparire come incapace di riformare e di riformarsi, senza l'impulso di Silvio Berlusconi, che si ergerebbe a interprete e rappresentante autentico e unico di tutto il popolo.
Sarebbe disastroso soprattutto per la rappresentanza politica, l'istituto fondamentale della democrazia moderna, quindi per la democrazia stessa. Liquidata la rappresentanza parlamentare, comunque delegittimata come strumento di trasmissione e di accoglimento delle istanze sociali, chi mai potrà recepire queste istanze e soddisfarle?
Ce lo dice il referendum previsto per il prossimo 21 giugno.
Il «sì» ai due quesiti principali non lasciano dubbi: sarebbe affidato al governo, quindi al suo capo, il compito di soddisfare le domande sociali. Ma quale tipo di governo? Non è la rappresentanza della società, nella sua conformazione, nella sua complessità, con i suoi divari, le sue contraddizioni, le sue disuguaglianze che interessa i promotori. A essi interessa il potere da sostenere, da tutelare, da rafforzare, da garantire (a chi lo ha).
I quesiti sono chiari, non modificano la pessima legge elettorale che ha espropriato le elettrici e gli elettori del diritto di scegliere i propri rappresentanti, non eliminano il premio di maggioranza e non ne riducono l'entità. Anzi, aggravano la truffa di questo perverso marchingegno che trasforma una minoranza in maggioranza. Permettono che, anche una lista che ottenga il trenta per cento dei voti, o anche meno, purché uno solo in più di ciascuna delle altre, possa ottenere il 54 per cento dei seggi alla Camera dei deputati e analogo effetto al Senato.
Che significa? Significa che Berlusconi potrebbe ottenere la maggioranza alla Camera e al Senato, da solo. Senza condizionamenti. Senza remore, essendo a capo di un partito organizzato e retto secondo un modello ancora più assolutistico delle stesse monarchie assolute. Si può immaginare con quale spirito, con quale sensibilità accoglierebbe le domande sociali. Il senso del referendum Berlusconi lo ha capito perfettamente. Ci punta e ha raddoppiato la posta. Mira a fare il pieno.
Possiamo impedirglielo e lo dobbiamo. Rifiutando di sottoscrivere la sua proposta di legge e, al referendum, astenendoci o ricusando la scheda.
martedì 26 maggio 2009
No al referendum elettorale
Il 21 giugno saremo chiamati a votare, ancora una volta, su referendum elettorali. Certo, condividiamo il diffuso giudizio negativo sulle leggi vigenti per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Queste leggi espropriano le elettrici e gli elettori del diritto di scegliere i propri rappresentanti. Oggi non sono gli elettori e le elettrici a scegliere i parlamentari, questi sono nominati dai capi-partito.
L’attuale sistema elettorale andrebbe trasformato radicalmente, per assicurare alle Assemblee elettive il pluralismo delle forze politiche e la massima rappresentatività del popolo italiano.
A tutt’altro, invece, mirano i quesiti del referendum del 21 giugno, che non riguardano il sistema delle liste bloccate e dunque le confermano. Il vero risultato giuridico del referendum sarebbe quello di consegnare il Paese al solo partito che avesse un voto in più di ciascun altro, attribuendogli più della maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento: con appena il 30 % o il 20% dei voti avrebbe il 54% dei seggi alla Camera. Inoltre dal Senato sarebbero escluse tutte le liste che non raggiungessero l’8%.
Con la vittoria dei sì, si avrebbero un premio di maggioranza e una soglia di sbarramento enormi, senza precedenti nella storia istituzionale italiana e in quella di ogni paese civile. Con tre quesiti, che modificano ben 67 punti delle due leggi elettorali, oscuri nella formulazione ma chiari nella finalità di manipolare il sistema di voto, si vuole imporre il bipartitismo coatto, al di là dell’effettiva volontà dei cittadini.
Con la vittoria dei sì, si impedirebbe qualsiasi ulteriore riforma elettorale.
Con la vittoria dei sì, sarebbe confermato un sistema che trasforma una minoranza elettorale in stragrande maggioranza parlamentare (tale da poter agevolmente cambiare la Costituzione a suo piacimento), e che ingigantisce il potere del capo di tale arbitraria maggioranza.
Un siffatto sistema elettorale viola la Costituzione, e deve essere rifiutato: il referendum deve fallire, attraverso la non partecipazione al voto o il rifiuto della scheda, per impedire la cancellazione della democrazia parlamentare e per rendere possibile una riforma elettorale che restituisca la parola ai/alle cittadini/e.
Gianni FERRARA, Pietro ADAMI, Cesare ANTETOMASO, Gaetano AZZARITI, Francesco BILANCIA, Claudio DE FIORES, Tommaso FULFARO, Domenico GALLO, Orazio LICANDRO, Enzo MARZO, Mario MONTEFUSCO, Francesco PARDI, Alba PAOLINI, Gianluigi PEGOLO, Pino A. QUARTANA,Franco RUSSO, Giovanni RUSSO-SPENA, Cesare SALVI, Lorenza CARLASSARE, Mario DOGLIANI, Roberto LA MACCHIA, Mattia STELLA, Massimo VILLONE, Paola MASSOCCI,Domenico GIULIVA, Andrea AIAZZI, Bruno MARTELLONE, Sergio PASTORE, Luigi GALLONI, Silvio GAMBINO, Paolo de SANCTIS, Aldo FAPPANI, Michele CHILLEMI, Roberto PORTA, Corrado MORGIA, Roberto GIULIANI, Imma BARBAROSSA, Gim CASSANO
Nikea ALBANESE S., Maria D. ASCHETTINO, Alessandro AVALLONE, Luca BAIDA, Gianni BERNARDINI, Giuseppina BILLI, Angela BINDI, Pino BRANDI, Giuseppe BRONZINI,Anna Maria BRUNI, Antonio CANALIA, Sergio CARRARO, Pietrina CHESSA, Marco CHIEFFI, Emanuele CHIODINI, Cosimo A.CILIBERTO, Michele CITOLI, Maurizio COLLEONE, Marco DAL TOSO, Vito DE BARI, Mario DE LUCA, Paolo DESANCTIS, Lucia DELEGU, Maria DENISE, Ettore DETTORI, Viviana D'ONOFRIO, Daniele DOMBARILLARI, Marina DONDERO, Marcello FAGIOLI, Stefano FALCINELLI, Aldo FAPPANI, Luigi FERRAJOLI, Ilia FUBUNI, Daniela GAMBA, Silvio GAMBINO, Piero GHISETTI, Roberto GIULIANI, Domenico GIULIVA, Antonio GRIMALDI, Pasquale INDULGENZA, Adriana LIBANETTI, Gianluca LOMBARDI, Saverio LUZZI, Giuseppe MAGARO, Angela MANCUSO, Monica MARTENGHI, Giorgio MASSI, Enrico M. MASSUCCI, Gerardo MAZZAFERRO, Francesco MERLONI, Enrico MONZATTI, Corrado MORGIA, Consuelo MOTTA, Norberto NATALI, Mario OTTAVI, Teresio PANERO, Paola PELLEGRINI, Tonino PERNA, Raffaele PICCOLI, Roberto PORTA, Franco RAGUSA, Alessandro RAPINESE, Massimo RECCHIONI, Maria RICCIARDI, Dario ROSSI, Antonia SANI, Adriana SPERA, Graziella STECCONI, Rosa TAVELLA, Emanuele TIONE, Stefano TONDOLO, Gennaro VARRIALE, Luca ZAMPORLINI, Guglielmo ZANETTA, Maura ZAPPA, Cataldo ZINGAROLI.
Per adesioni
fs.russo@tiscali.it
Roma 20 maggio 2009
Critica liberale e la campagna astensionista
Critica liberale ritiene urgente che si organizzino “Comitati per l’astensione” in occasione dei referendum elettorali del prossimo 21 giugno, e si avvii una campagna per il boicottaggio del voto: una campagna astensionista è ormai il solo strumento rimasto per evitare la catastrofe definitiva della democrazia liberale in Italia e la sua completa sostituzione con una dittatura plebiscitaria.
Questi sono referendum truffaldini, perché si presentano come abrogativi di una legge pessima come la “Porcata” di Calderoli, ma al contrario ne aggravano irrimediabilmente tutti gli effetti.
Dei tre quesiti referendari l’unico che apporterebbe un miglioramento dell’attuale orrenda “legge-porcata” (come la definì il suo stesso autore) è quello di gran lunga meno importante, il terzo, che impedirebbe le candidature multiple che oggi fungono da specchietto per le allodole. Un miglioramento del tutto trascurabile rispetto alla catastrofe costituzionale, alla super-porcata, che sarebbe prodotta dai primi due. Questi consegnerebbero il paese, senza più contrappesi di alcun rilievo, nelle mani del “capo” del partito di maggioranza relativa: anche con meno di un quarto dei voti (anche con il 23 % di Forza Italia del 2006), con questa legge il partito relativamente più grosso avrebbe sempre e comunque il 55% dei parlamentari. Nell’attuale situazione Berlusconi non potrebbe che vincere sempre e comunque, e diventare il padrone assoluto a vita dell’Italia, circondato da parlamentari-dipendenti nominati solo da lui e responsabili esclusivamente verso di lui. Con la vittoria del SÌ l’esito scontato delle future elezioni politiche sarebbe quello di conferire a Berlusconi i pieni poteri: non solo sarebbero nelle sue mani le leggi, le regole del gioco e l’elezione del presidente della Repubblica, ma gli si renderebbero più agevoli la modifica della Costituzione e l’elezione di tutti gli organi di garanzia. Con la legge Acerbo, Mussolini poté trasformare il suo 64,9 % dei voti nei due terzi dei seggi: una distorsione minima rispetto a quella prevista dai prossimi referendum.
È stupido, ridicolo e patetico fingere di credere che, ottenuto su un piatto d’argento un tale risultato grazie ai suoi insipienti oppositori, Berlusconi sarebbe poi disposto a ridiscutere tutto, concordando con loro una nuova legge elettorale. I suoi, del resto, l’hanno già esplicitamente dichiarato.
Si possono avere le opinioni più varie sul bipartitismo in sé, ma non si può discuterne come se la qualità dei soggetti in campo fosse irrilevante anziché assolutamente determinante.
Regalare a Berlusconi uno smisurato dominio soltanto per distruggere i partiti potenzialmente alleati e per costringere il loro elettorati a votare Pd è stato il tragico storico errore della classe dirigente veltroniana. Ripeterlo, aggravarlo e renderlo permanente significa non apprendere le lezioni della storia. Il centrosinistra e la sinistra hanno più che ampiamente dimostrato di non avere capacità di aggregazione di forze diverse in un solo polo e addirittura in una coalizione di governo. È pura farneticazione pensare che, in tempi ragionevoli, il Pd, che non riesce a riunire neppure le forze già presenti al suo interno, possa comprendere e rappresentare da solo un elettorato così variegato, dagli estremisti clericali come la Binetti fino ai comunisti di Ferrero. Il tutto, mentre Berlusconi ha già operato felicemente l’aggregazione della destra in un solo partito, il suo.
Per tutti gli altri vaneggiare di bipartitismo in questa condizioni è letale per la democrazia. Ed ancor più dissennata è l’idea di rafforzare la posizione della maggioranza parlamentare nel momento in cui quella al potere è la più forte della storia repubblicana.
Come abbiamo ampiamente sperimentato a nostre spese, il meccanismo previsto dalla legge referendaria avvantaggia sempre i sostenitori del NO a qualunque proposta di abrogazione: ora, nella battaglia contro il rafforzamento della legge-porcata, l’astensione gioca a nostro favore perché incamera anche l’astensionismo fisiologico. La posta in gioco è troppo alta per rinunciare a questo vantaggio. Perciò, chi vuole effettivamente negare questo regalo a Berlusconi e impedire il definitivo svuotamento della democrazia italiana non può limitarsi a votare NO, ma deve astenersi. Date le forze e le risorse in campo, l’eventuale vittoria del NO è estremamente improbabile: andare a votare NO servirebbe quindi soltanto a far superare il quorum e a provocare la vittoria del SÌ. I nostri concittadini, per quanto narcotizzati da un’informazione asservita, e il Pd, pur nell’assoluta insipienza di cui sta dando prova, e gli stessi alleati di Berlusconi, sono pronti a consegnare i pieni poteri e tutte le nostre libertà a uno come lui?
Questi sono referendum truffaldini, perché si presentano come abrogativi di una legge pessima come la “Porcata” di Calderoli, ma al contrario ne aggravano irrimediabilmente tutti gli effetti.
Dei tre quesiti referendari l’unico che apporterebbe un miglioramento dell’attuale orrenda “legge-porcata” (come la definì il suo stesso autore) è quello di gran lunga meno importante, il terzo, che impedirebbe le candidature multiple che oggi fungono da specchietto per le allodole. Un miglioramento del tutto trascurabile rispetto alla catastrofe costituzionale, alla super-porcata, che sarebbe prodotta dai primi due. Questi consegnerebbero il paese, senza più contrappesi di alcun rilievo, nelle mani del “capo” del partito di maggioranza relativa: anche con meno di un quarto dei voti (anche con il 23 % di Forza Italia del 2006), con questa legge il partito relativamente più grosso avrebbe sempre e comunque il 55% dei parlamentari. Nell’attuale situazione Berlusconi non potrebbe che vincere sempre e comunque, e diventare il padrone assoluto a vita dell’Italia, circondato da parlamentari-dipendenti nominati solo da lui e responsabili esclusivamente verso di lui. Con la vittoria del SÌ l’esito scontato delle future elezioni politiche sarebbe quello di conferire a Berlusconi i pieni poteri: non solo sarebbero nelle sue mani le leggi, le regole del gioco e l’elezione del presidente della Repubblica, ma gli si renderebbero più agevoli la modifica della Costituzione e l’elezione di tutti gli organi di garanzia. Con la legge Acerbo, Mussolini poté trasformare il suo 64,9 % dei voti nei due terzi dei seggi: una distorsione minima rispetto a quella prevista dai prossimi referendum.
È stupido, ridicolo e patetico fingere di credere che, ottenuto su un piatto d’argento un tale risultato grazie ai suoi insipienti oppositori, Berlusconi sarebbe poi disposto a ridiscutere tutto, concordando con loro una nuova legge elettorale. I suoi, del resto, l’hanno già esplicitamente dichiarato.
Si possono avere le opinioni più varie sul bipartitismo in sé, ma non si può discuterne come se la qualità dei soggetti in campo fosse irrilevante anziché assolutamente determinante.
Regalare a Berlusconi uno smisurato dominio soltanto per distruggere i partiti potenzialmente alleati e per costringere il loro elettorati a votare Pd è stato il tragico storico errore della classe dirigente veltroniana. Ripeterlo, aggravarlo e renderlo permanente significa non apprendere le lezioni della storia. Il centrosinistra e la sinistra hanno più che ampiamente dimostrato di non avere capacità di aggregazione di forze diverse in un solo polo e addirittura in una coalizione di governo. È pura farneticazione pensare che, in tempi ragionevoli, il Pd, che non riesce a riunire neppure le forze già presenti al suo interno, possa comprendere e rappresentare da solo un elettorato così variegato, dagli estremisti clericali come la Binetti fino ai comunisti di Ferrero. Il tutto, mentre Berlusconi ha già operato felicemente l’aggregazione della destra in un solo partito, il suo.
Per tutti gli altri vaneggiare di bipartitismo in questa condizioni è letale per la democrazia. Ed ancor più dissennata è l’idea di rafforzare la posizione della maggioranza parlamentare nel momento in cui quella al potere è la più forte della storia repubblicana.
Come abbiamo ampiamente sperimentato a nostre spese, il meccanismo previsto dalla legge referendaria avvantaggia sempre i sostenitori del NO a qualunque proposta di abrogazione: ora, nella battaglia contro il rafforzamento della legge-porcata, l’astensione gioca a nostro favore perché incamera anche l’astensionismo fisiologico. La posta in gioco è troppo alta per rinunciare a questo vantaggio. Perciò, chi vuole effettivamente negare questo regalo a Berlusconi e impedire il definitivo svuotamento della democrazia italiana non può limitarsi a votare NO, ma deve astenersi. Date le forze e le risorse in campo, l’eventuale vittoria del NO è estremamente improbabile: andare a votare NO servirebbe quindi soltanto a far superare il quorum e a provocare la vittoria del SÌ. I nostri concittadini, per quanto narcotizzati da un’informazione asservita, e il Pd, pur nell’assoluta insipienza di cui sta dando prova, e gli stessi alleati di Berlusconi, sono pronti a consegnare i pieni poteri e tutte le nostre libertà a uno come lui?
Referendum, la scelta di LeG: astenersi o votare No
Astenersi o votare NO: è questa la scelta che Libertà e Giustizia ha deciso di raccomandare ai soci e agli amici che chiedono con insistenza una posizione sul referendum del 21 giugno.
Un referendum su una pessima legge elettorale che avrebbe come risultato, qualora fosse approvato, una legge ancora più devastante, che non costringerebbe affatto il Parlamento a farne una migliore, ma che potrebbe avere come risultato il rafforzamento in Italia non del bipartitismo o del bipolarismo, bensì di un solo partito. Un monopartitismo che aprirebbe le porte a una vera e propria avventura della quale non vogliamo sentirci in alcun modo responsabili e che ci sentiamo di contrastare con la forza della nostra associazione.
Il ragionamento di LeG è sempre partito da alcuni presupposti, punti fondamentali e principi ispiratori. Riteniamo che una legge elettorale debba rispondere ad alcune condizioni:
1) Deve contribuire ad avvicinare i cittadini elettori alle forze politiche, coinvolgerli nelle scelte dei candidati che saranno chiamati a rappresentarli in Parlamento.
2) Deve riuscire a stabilire nel risultato un rapporto tra rappresentanti e elettori che corrisponda realmente alla volontà espressa.
3) Deve essere semplice e facile da capire, affinché ognuno possa votare nella consapevolezza dell’effetto che avrà il suo voto
Tutto questo evidentemente ci è stato sottratto con il Porcellum e non sarebbe corretto da un eventuale vittoria del Si nel referendum, che abroga solo alcune disposizioni lasciando invariate o peggiorando le altre.
Le proposte abrogative su cui si voterà sono le seguenti:
1) per la Camera, soppressione della norma che consente la candidatura di una persona in una pluralità di collegi: cesserebbe così la possibilità per i dirigenti dei partiti di candidarsi ovunque, in testa di lista.
2) Sia per la Camera che per il Senato , soppressione della possibilità di formare coalizioni: la maggioranza assoluta dei seggi (54% nazionale alla camera, 55% in ogni collegio regionale al Senato) andrebbe alla singola “lista” che abbia conseguito la maggioranza relativa (anche un voto più degli altri), quale che sia la percentuale dei voti conseguita.
Resterebbe dunque immutato il meccanismo delle liste bloccate con un ordine di lista deciso dalle segreterie dei partiti.
Non vi è dubbio alcuno dunque che se fosse raggiunto il quorum e vincessero i Sì, i cittadini sarebbero sempre più espropriati del diritto di eleggere i propri rappresentanti, diritto fondamentale in ogni democrazia. La maggioranza assoluta assegnata al partito vincente, quale che sia la percentuale di voti ottenuta, estremizza il premio di maggioranza rendendolo non uno strumento di governabilità, bensì uno strumento che stravolge il senso della volontà realmente espressa dagli elettori.
Questo forte partito vincente sarebbe in grado da solo di cambiare la costituzione secondo i propri interessi particolari e con eventuali singole alleanze modificarla addirittura con i due terzi, maggioranza che preclude il ricorso al referendum confermativo.
Queste sono le preoccupazioni espresse dal nostro presidente onorario Gustavo Zagrebelsky. Della stessa natura era la valutazione espressa da Leopoldo Elia anche all’interno del “Comitato salviamo la Costituzione” (di cui era presidente del comitato scientifico).
Alcune forze politiche in questi giorni vanno sostenendo che il rischio della nascita in Italia di un forte partito unico potrebbe esser contrastato all’indomani del referendum da nuove forme di intese con la Lega, o, forse, dal ritorno al Mattarellum, per il quale in Senato si stanno raccogliendo le firme. Anche Libertà e Giustizia sosteneva da sola che questa fosse una soluzione possibile: ma eravamo nel 2007, 2008 e si sperava ancora di poter andare alle future elezioni con una legge diversa dal Porcellum.
A questo punto i calcoli politici devono lasciare lo spazio ai problemi di fondo della democrazia. Questo referendum la ferisce e dobbiamo dunque contrastarne un esito positivo.
Riteniamo che coloro che giudicano indispensabile riconfermare col proprio voto il valore dello strumento referendum possano proprio nel nome della democrazia votare No (purché abbiano presente che contribuiscono al raggiungimento del quorum).
Coloro invece che ritengono prioritario far fallire questo specifico referendum, possono “nel nome della democrazia” (Massimo Teodori) astenersi e non ritirare la scheda.
Un referendum su una pessima legge elettorale che avrebbe come risultato, qualora fosse approvato, una legge ancora più devastante, che non costringerebbe affatto il Parlamento a farne una migliore, ma che potrebbe avere come risultato il rafforzamento in Italia non del bipartitismo o del bipolarismo, bensì di un solo partito. Un monopartitismo che aprirebbe le porte a una vera e propria avventura della quale non vogliamo sentirci in alcun modo responsabili e che ci sentiamo di contrastare con la forza della nostra associazione.
Il ragionamento di LeG è sempre partito da alcuni presupposti, punti fondamentali e principi ispiratori. Riteniamo che una legge elettorale debba rispondere ad alcune condizioni:
1) Deve contribuire ad avvicinare i cittadini elettori alle forze politiche, coinvolgerli nelle scelte dei candidati che saranno chiamati a rappresentarli in Parlamento.
2) Deve riuscire a stabilire nel risultato un rapporto tra rappresentanti e elettori che corrisponda realmente alla volontà espressa.
3) Deve essere semplice e facile da capire, affinché ognuno possa votare nella consapevolezza dell’effetto che avrà il suo voto
Tutto questo evidentemente ci è stato sottratto con il Porcellum e non sarebbe corretto da un eventuale vittoria del Si nel referendum, che abroga solo alcune disposizioni lasciando invariate o peggiorando le altre.
Le proposte abrogative su cui si voterà sono le seguenti:
1) per la Camera, soppressione della norma che consente la candidatura di una persona in una pluralità di collegi: cesserebbe così la possibilità per i dirigenti dei partiti di candidarsi ovunque, in testa di lista.
2) Sia per la Camera che per il Senato , soppressione della possibilità di formare coalizioni: la maggioranza assoluta dei seggi (54% nazionale alla camera, 55% in ogni collegio regionale al Senato) andrebbe alla singola “lista” che abbia conseguito la maggioranza relativa (anche un voto più degli altri), quale che sia la percentuale dei voti conseguita.
Resterebbe dunque immutato il meccanismo delle liste bloccate con un ordine di lista deciso dalle segreterie dei partiti.
Non vi è dubbio alcuno dunque che se fosse raggiunto il quorum e vincessero i Sì, i cittadini sarebbero sempre più espropriati del diritto di eleggere i propri rappresentanti, diritto fondamentale in ogni democrazia. La maggioranza assoluta assegnata al partito vincente, quale che sia la percentuale di voti ottenuta, estremizza il premio di maggioranza rendendolo non uno strumento di governabilità, bensì uno strumento che stravolge il senso della volontà realmente espressa dagli elettori.
Questo forte partito vincente sarebbe in grado da solo di cambiare la costituzione secondo i propri interessi particolari e con eventuali singole alleanze modificarla addirittura con i due terzi, maggioranza che preclude il ricorso al referendum confermativo.
Queste sono le preoccupazioni espresse dal nostro presidente onorario Gustavo Zagrebelsky. Della stessa natura era la valutazione espressa da Leopoldo Elia anche all’interno del “Comitato salviamo la Costituzione” (di cui era presidente del comitato scientifico).
Alcune forze politiche in questi giorni vanno sostenendo che il rischio della nascita in Italia di un forte partito unico potrebbe esser contrastato all’indomani del referendum da nuove forme di intese con la Lega, o, forse, dal ritorno al Mattarellum, per il quale in Senato si stanno raccogliendo le firme. Anche Libertà e Giustizia sosteneva da sola che questa fosse una soluzione possibile: ma eravamo nel 2007, 2008 e si sperava ancora di poter andare alle future elezioni con una legge diversa dal Porcellum.
A questo punto i calcoli politici devono lasciare lo spazio ai problemi di fondo della democrazia. Questo referendum la ferisce e dobbiamo dunque contrastarne un esito positivo.
Riteniamo che coloro che giudicano indispensabile riconfermare col proprio voto il valore dello strumento referendum possano proprio nel nome della democrazia votare No (purché abbiano presente che contribuiscono al raggiungimento del quorum).
Coloro invece che ritengono prioritario far fallire questo specifico referendum, possono “nel nome della democrazia” (Massimo Teodori) astenersi e non ritirare la scheda.
La nostra Costituzione
Garantiamo la libertà di voto
L’abbinamento del voto sul referendum Guzzetta-Segni al secondo turno delle elezioni amministrative rischia di falsare clamorosamente l’espressione della volontà degli elettori.
L’articolo 75 della Costituzione, prevedendo un quorum minimo di votanti per la validità dei referendum abrogativi (e solo per quelli), prevede una eccezione al dovere civico del voto contenuto nell’art. 48. L’elettore può dunque legittimamente scegliere non solo se votare Si o No, ma anche SE votare o, non votando, contribuire a far fallire il referendum.
Scelta tanto più opportuna in un caso, come l’attuale, in cui se la vittoria del SI provocherebbe un ulteriore aggravamento della legge attuale (che risulterebbe addirittura peggiore della mussoliniana legge Acerbo), quella del NO rischierebbe di essere interpretata come una sua legittimazione, rendendone più difficile la sostituzione con una legge elettorale migliore e soprattutto non incostituzionale.
Al di là di quanto quotidianamente sbandierato, infatti, la vittoria del referendum non modificherebbe l’impossibilità di esprimere preferenze, e renderebbe possibile a una esigua minoranza di conquistare la maggioranza del Parlamento.
Allo stato attuale delle cose, inoltre, l’applicazione (immediatamente possibile) della legge ‘corretta’ potrebbe prevedibilmente consentire a PDL e Lega di modificare da sole la Costituzione impedendo perfino il rferendum che già una volta ha bloccato questo disegno antidemocratico.
Quando fu lanciata la raccolta delle firme per il referendum molti la interpretarono come una estrema sollecitazione al Parlamento per l’approvazione di una nuova legge elettorale, convinti che al referendum non saremmo mai arrivati. Ma l’abisso in cui il nostro Paese sta precipitando evidentemente non ha ancora toccato il fondo e solo le previsioni peggiori si realizzano.
Molti ora, in una condizione assai diversa, si dissociano da quella decisione.
Rimane però il rischio che agli elettori che si recheranno comunque alle urne per i ballottaggi (e che non ci sarebbero andati per il referendum) vengano comunque consegnate anche le tre schede referendarie, contribuendo così automaticamente al raggiungimento del quorum e, evidentemente, al successo del SI.
E’ dunque indispensabile una azione di corretta informazione, che chiarisca la necessità, per quanti intendano rifiutare lo strumento referendario in questo caso, di NON RITIRARE LE TRE SCHEDE, facendo verbalizzare il rifiuto.
Questa campagna informativa dovrebbe anche coinvolgere i Presidenti delle sezioni, che non devono in alcun modo influenzare la volontà degli elettori e potrebbero essere ritenuti giuridicamente responsabili di comportamento scorretto. Sarebbe opportuno che fra il materiale che viene abitualmente fornito loro dagli Uffici Elettorali dei Comuni ci fosse anche una specifica nota in tal senso.
Altra opera di sensibilizzazione dovrebbe essere attuata nei confronti dei rappresentanti di lista dei partiti politici, tenendo presente che nella sezione non potranno essere presenti, in base alla legge, i rappresentanti di eventuali comitati per il NO o per l’astensione, ma solo quelli dei promotori del referendum e, appunto, dei partiti politici.
Solo così l’esito del voto sarà realmente frutto della libera scelta degli elettori, che potranno scegliere se approvare uno o più dei tre quesiti, se respingerli totalmente, o se, facendo fallire il referendum, pretendere dal Parlamento che un argomento fondamentale per il nostro sistema democratico venga affrontato in un confronto aperto e trasparente e risolto con il massimo consenso e con una nuova legge elettorale che, restituendo ai cittadini il diritto di scegliere da chi farsi rappresentare e governare, rispetti il dettato costituzionale.
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