martedì 26 maggio 2009

Referendum, la scelta di LeG: astenersi o votare No

Astenersi o votare NO: è questa la scelta che Libertà e Giustizia ha deciso di raccomandare ai soci e agli amici che chiedono con insistenza una posizione sul referendum del 21 giugno.

Un referendum su una pessima legge elettorale che avrebbe come risultato, qualora fosse approvato, una legge ancora più devastante, che non costringerebbe affatto il Parlamento a farne una migliore, ma che potrebbe avere come risultato il rafforzamento in Italia non del bipartitismo o del bipolarismo, bensì di un solo partito. Un monopartitismo che aprirebbe le porte a una vera e propria avventura della quale non vogliamo sentirci in alcun modo responsabili e che ci sentiamo di contrastare con la forza della nostra associazione.

Il ragionamento di LeG è sempre partito da alcuni presupposti, punti fondamentali e principi ispiratori. Riteniamo che una legge elettorale debba rispondere ad alcune condizioni:

1) Deve contribuire ad avvicinare i cittadini elettori alle forze politiche, coinvolgerli nelle scelte dei candidati che saranno chiamati a rappresentarli in Parlamento.

2) Deve riuscire a stabilire nel risultato un rapporto tra rappresentanti e elettori che corrisponda realmente alla volontà espressa.

3) Deve essere semplice e facile da capire, affinché ognuno possa votare nella consapevolezza dell’effetto che avrà il suo voto

Tutto questo evidentemente ci è stato sottratto con il Porcellum e non sarebbe corretto da un eventuale vittoria del Si nel referendum, che abroga solo alcune disposizioni lasciando invariate o peggiorando le altre.

Le proposte abrogative su cui si voterà sono le seguenti:

1) per la Camera, soppressione della norma che consente la candidatura di una persona in una pluralità di collegi: cesserebbe così la possibilità per i dirigenti dei partiti di candidarsi ovunque, in testa di lista.

2) Sia per la Camera che per il Senato , soppressione della possibilità di formare coalizioni: la maggioranza assoluta dei seggi (54% nazionale alla camera, 55% in ogni collegio regionale al Senato) andrebbe alla singola “lista” che abbia conseguito la maggioranza relativa (anche un voto più degli altri), quale che sia la percentuale dei voti conseguita.

Resterebbe dunque immutato il meccanismo delle liste bloccate con un ordine di lista deciso dalle segreterie dei partiti.

Non vi è dubbio alcuno dunque che se fosse raggiunto il quorum e vincessero i Sì, i cittadini sarebbero sempre più espropriati del diritto di eleggere i propri rappresentanti, diritto fondamentale in ogni democrazia. La maggioranza assoluta assegnata al partito vincente, quale che sia la percentuale di voti ottenuta, estremizza il premio di maggioranza rendendolo non uno strumento di governabilità, bensì uno strumento che stravolge il senso della volontà realmente espressa dagli elettori.
Questo forte partito vincente sarebbe in grado da solo di cambiare la costituzione secondo i propri interessi particolari e con eventuali singole alleanze modificarla addirittura con i due terzi, maggioranza che preclude il ricorso al referendum confermativo.
Queste sono le preoccupazioni espresse dal nostro presidente onorario Gustavo Zagrebelsky. Della stessa natura era la valutazione espressa da Leopoldo Elia anche all’interno del “Comitato salviamo la Costituzione” (di cui era presidente del comitato scientifico).

Alcune forze politiche in questi giorni vanno sostenendo che il rischio della nascita in Italia di un forte partito unico potrebbe esser contrastato all’indomani del referendum da nuove forme di intese con la Lega, o, forse, dal ritorno al Mattarellum, per il quale in Senato si stanno raccogliendo le firme. Anche Libertà e Giustizia sosteneva da sola che questa fosse una soluzione possibile: ma eravamo nel 2007, 2008 e si sperava ancora di poter andare alle future elezioni con una legge diversa dal Porcellum.

A questo punto i calcoli politici devono lasciare lo spazio ai problemi di fondo della democrazia. Questo referendum la ferisce e dobbiamo dunque contrastarne un esito positivo.

Riteniamo che coloro che giudicano indispensabile riconfermare col proprio voto il valore dello strumento referendum possano proprio nel nome della democrazia votare No (purché abbiano presente che contribuiscono al raggiungimento del quorum).

Coloro invece che ritengono prioritario far fallire questo specifico referendum, possono “nel nome della democrazia” (Massimo Teodori) astenersi e non ritirare la scheda.

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